Capitolo Uno

Risveglio

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Elizabeth
     
    .

    User deleted


    C'era il volto di mio padre di fronte a me, c'era quello strano volto che continuava a fissarmi, come se volesse dirmi qualcosa.
    Come se volesse comunicarmi qualcosa di importante, non detto con le parole, ma con un semplice gesto. Osservai le dita che si avvicinarono a me delicatamente, per accarezzarmi la guancia, piegai il capo lievemente seguendo quel gesto.


    Poi vi fu dolore.

    Sgranai gli occhi, la luce mi investì in piena regola, andando a farmi chiudere gli occhi e di nuovo dolore sulla guancia.
    Sbattei gli occhi e lì riaprì, questa volta digrignando i denti, andando a guardare di nuovo verso la luce, questa volta era pronta a quello che mi aspettava, infatti sbattei gli occhi più di una volta, cercando di abituarmi.
    Sentivo pulsare al mio ventre, come se ci fossero dei punti che mi tiravano, un dolore che mi invadeva la mia figura, che mi facevano tirare ogni singolo muscolo, i denti si univano e dalle labbra usciva una sottospecie di ringhio.
    Sapevo ringhiare? Da quando?
    Era come se mille pensieri potevano invadermi in quel momento, però venivano spostati dal dolore che era al basso ventre.
    Offuscava qualsiasi cosa al momento, qualsiasi altro sentimento, pensiero, sensazione che poteva venire dalla mia mente, dal mio corpo.
    Strinsi di nuovo gli occhi e le spalle fecero pressione sull'acciaio, si era acciaio, dov'ero? Ancora il pensiero che veniva scacciato dal dolore più assoluto che stavo sentendo. Sentì qualcosa che mi spense verso il l'acciaio di nuovo, la schiena non riuscì a sovrastare quella pressione, con un altro dolore, meno intenso, mi fece appoggiare di nuovo il corpo sull'acciaio più freddo, il capo cercò a sua volta di alzarsi, ma di nuovo un'altra cosa mi prese contro al tavolino.

    “Sta ferma”

    Una voce.
    Si. Non era una cosa, era una mano che mi stava cercando di tener ferma su quel lettino, si lettino, no, era qualcosa di più rigido, più duro, più come se fosse un tavolo.
    Girai il capo, per non aver quella luce di fronte agli occhi e vidi.
    Vidi qualcuno per terra, con le mani rosse, perchè aveva le mani rosse?, il volto era abbassato, cosa stava facendo? Le dita le vedevo intrecciate, il capo chino.
    Stava pregando?
    Poi il buio di nuovo.

    Di nuovo il volto di mio padre, che mi guardava, da lontano, con di fianco mia madre.
    Si mia madre.
    Madre che avevo amato, con tutta me stessa, che mi era stata di fianco, mi aveva amato come non mai, madre che rispettavo.
    Tutti e due si chinarono su di me, mi diedero un bacio sulla guancia.
    Poche parole da parte di mio: “Rimani tra le stelle, sarai la più splendente.”


    Le labbra si aprirono, come per potergli rispondere, ma invece dell'aria arrivò un dolore intenso, gli occhi vennero sgranati, le spalle si spinsero in avanti, andando a cercare dell'aria, arriverò una strattone più forte, più doloroso dal ventre e un urlo si fece largo lungo le miei labbra.
    Appoggia la testa sul cuscino, come per trovare sollievo da quello che stavo provando ma non ce n'era.
    Non importava dov'ero, dovevo trovare una qualsiasi cosa per far smettere quel dolore atroce nel mio ventre, inizia a sentire del freddo lungo le guance, erano lacrime? Stavo piangendo?
    Sbattei un paio di volte gli occhi, cercando di smettere, ma era troppo. Non avevo mai sentito un dolore così intenso.
    Dopo qualche istante di quell'agonia, sentì una voce maschile.

    “Ehi calmati.”

    Non era un accento che conoscevo, dov'ero?
    Chi era questo?
    Sbattei diverse volte gli occhi, cercando di spostarmi più in angolo come per non farmi toccare da quelle mani, ma senti freddo. Mi girai e vidi la paratia.
    Non era una parete di mattoni era una di quelle navi che odiavo, non mi facevano respirare, erano piccole.
    Le labbra si aprirono e cercavano ancora di più dell'aria per i polmoni, le dita a me sconosciute, callose, mi afferrarono il braccio e mi tirarono meglio sul letto.
    Ci misi qualche istante, a portare lo sguardo sul volto del ragazzo. Era giovane, anche se cresciuto si vedeva per quella barba non curata, quelle occhiaie sotto agli occhi. Nessun giovane della sua età poteva mostrare cose del genere se non era cresciuto, lasciando alle spalle la propria voglia di curarsi, di divertirsi, di trovare un modo per conquistare una ragazza, passare il tempo. No, erano giovani che lavoravano che crescevano velocemente.
    Chi non era cresciuto velocemente con quella guerra?
    I capelli erano neri, arruffati, la carnagione abbronzata, gli occhi chiari che risaltavano come non mai. Anche se non sembrava era forte, lo sentivo da quella stretta, decisamente più alto di me, chi non era più alto di me?
    Socchiusi gli occhi e poi lì riaprì, cercai di parlare, ora mi accorsi di aver tutto impastato in bocca, la gola secca, le labbra screpolate.
    Cercai comunque di far scivolare delle parole fuori dalle labbra, ma raspavano, mi fecero chiudere gli occhi e poi lì riaprì, sentì immediatamente l'acqua. Si.
    Acqua che arrivava verso le mie labbra, con quel sorriso sul volto, da ragazzino che avevo di fronte. Sentì appena il volto rosso, mi vergognavo di farmi portare un bicchiere da esso, verso le miei labbra, non ero morente.
    Non saprei neppure io con quale forza, per via che sentivo ogni singolo muscolo pesante, riuscì a portare la mano sul bicchiere, sentì una risata provenire da esso.
    Una risata cristallina sincera.
    Alzai un sopracciglio, per la sorpresa.
    Comunque ci riesci a prender ancora un goccio, questa volta con il bicchiere che stavo tenendo io, per poi andarlo a porgere appena verso di lui.
    Schiarì appena la voce.

    “Ancora.”

    Mi serviva acqua, sentivo tutto il corpo che ne chiedeva ancora. Il tono non era gentile, era un ordine, io davo ordini, non chiedevo per piacere.
    Deglutì. Si, la saliva un po' era tornata.
    Il ragazzino di fronte a me, alzò un sopracciglio a sua volta, come per imitarmi, ma non disse nulla, prese il bicchiere e lo riempì ancora, porgendolo.
    Lo afferrai, senza troppe gentilezze, non ero in servizio, perciò grazie e prego, non sono nel mio vocabolario abituale, la mia vera io non è molto presente nella vita che faccio, una vita piena di inchini, sorrisi, compiacimenti.
    Una vita che ho affrontato di fianco a mia madre, di certo non la lasciavo da sola.
    Lo bevvi tutto, andandolo a porgere di nuovo nella direzione del ragazzo, che non lo prese, lo riempì e basta, mi osservava.
    Mi osservava con quei occhi azzurri, quanto i miei, mi scrutava curioso, lo potevo capire, tutti i suoi muscoli indicavano quello, indicavano che era sincero, puro. Ero disarmata contro a quell'innocenza, innocenza, che avevo lasciato alle spalle ormai da quando avevo iniziato a far quello che facevo.
    Finì il terzo bicchiere , feci uscire un piccolo sospiro, porgendogli esso e me lo stava già riempiendo.

    “No.”

    Non avevo più sete, dovevo capire dov'ero.

    “Posso alzarmi?”

    Domandai verso di esso, che lentamente portò il bicchiere e la caraffa sul comodino di fianco a me.

    “No.”

    Semplice e schietto, con un piccolo sorriso più che divertito, sul volto.

    “Però ti posso metter comoda.”

    Lo strano accento iniziò a diventare famigliare, era un accento che non sentivo da anni.
    Boros.

    “Potrebbe andar bene come alternativa”

    Affermai con un sorriso divertito sulle labbra screpolate, intanto che sentì il cuscino che dalla testa me lo tirò via, intanto che una mano mi teneva il capo appena sollevato.
    Quando ebbe finito mi ritroverai non più coricata del tutto, ma appena sollevata, così da poter esser tranquilla. Abbassai lo sguardo, soltanto ora mi accorsi di aver una maglietta larga, lunga, di certo di diverse taglie più grandi di quello che avevo addosso, con tanto di pantaloncini.
    Socchiusi gli occhi, cercai di tranquillizzarmi, ma c'era sempre quel dolore sul mio corpo, alzai la maglietta, non mi importava molto se
    c'era un ragazzo o no lì dentro.

    “Ma cosa stai facendo?”

    Il tono era decisamente imbarazzato, alzai il volto e lo vidi completamente rosso, una persona poteva diventare tanto rossa?
    Sgranai gli occhi e non poco.

    “Non dirmi che ti vergogni?”

    La parlata che avevo non era come quella che usavo nel Core, priva di accenti particolari, ma era sporca dell'accento di Hera, avevo troppo dolore nel corpo e la testa completamente annebbiata da tutto quello che mi stava circondando, dai ricordi confusi, per trovare la lucidità di perfezionare il mio accento.

    “Bè.. sei una ragazza no?”

    Sgranai gli occhi di nuovo.

    “Si.”

    “Ecco.. allora prendi quella maglietta e tiratale verso il basso.”

    “Mah..”

    “Fallo.”

    “Cos'è un ordine?”

    “Si.”

    “Scordatelo!!!”


    Ecco ci siamo, l'espressione del mio volto era decisamente severo, le mani stavano rimanendo ferme, se aveva dei problemi con il corpo femminile, di certo non era un mio problema.
    Le labbra si unirono e abbassai il mio sguardo verso le ferite. Erano due, una sulla destra e l'altra sulla sinistra, coperte da due bende.
    Feci uscire un sospiro, andando ad abbassare la maglietta e vedi la schiena del ragazzo. Si, si era girato, neppure se mi fossi spogliata.
    Sbattei diverse volte gli occhi e scossi il capo come per dire di no.

    “Sei.. un ragazzo o una sottospecie di ragazz..”


    Non finì la frase, quando la porta dell'alloggio si aprì, facendo entrare una figura quasi identica alla prima.
    Cioè se uno lì poteva confrontare, si assomigliavano, ma si vedeva a chilometri di distanza la differenza tra di loro, soprattutto nel comportamento.
    Anche lui aveva capelli neri, occhi azzurri, a confronto del primo però aveva capelli corti, quasi rasati e invece di portare una tuta da meccanico aperta, aveva un completo chiaramente da Rim.
    Pantaloni di un pessimo tessuto, una camicia, bratelle.

    “Si è rimessa?”

    La voce era più matura, meno da ragazzino, ma sempre giovane, con il medesimo accento dell'altro.

    “Guarda che sono qui.”


    Andai a indicarmi.

    “Oh.. Buongiorno.”

    Il tono era sarcastico e il suo sorriso era decisamente ampio sul volto, come se fosse la cosa più naturale che poteva riuscigli.
    Un atteggiamento da sbruffone, sicuro di sé.
    Se l'avesse fatto soltanto dentro al Core, sarebbe stato mangiato da chi aveva la sua stessa età.
    Nonostante tutto, c'era qualcosa di famigliare nel suo volto, c'era qualcosa che mi ricordava qualcuno, anche se qualcuno non riuscivo a capire chi era.

    “Si.. Buongiorno.”

    Affermai con un tono decisamente più tranquillo, ma vidi che l'attenzione si portò di nuovo verso il ragazzo che mi stava ancora dando le spalle.

    “Phil.. che cosa ci fai girato?”

    “Bè..”

    Borbottò altre parole che non compresi, uno perchè era in un dialetto che non avevo mai sentito, l'altra perchè l'aveva detto a bassa voce.
    Il ragazzo nuovo, mi squadrò dall'alto al basso, per diversi istanti, come se stesse cercando qualcosa. Non abbassai lo sguardo, anzi rimasi lì a contrastare completamente esso, assottigliando gli occhi come per dargli fuoco.
    Alcuni istanti e poi gli rispose, per scoppiare in una risata abbastanza divertita, mettendogli un braccio intorno alle spalle, per farlo girare e cercare di portare il capo, sotto al suo pugno per grattagli la testa e quei capelli fin troppo arruffati.

    “Allora Miss.. come la dovremo chiamare?”


    Si intende era sempre il ragazzo spavaldo a parlare, lasciando libero il povero meccanico che iniziò a massaggiarsi il capo, borbottando di nuovo, tenendo ancora il volto rosso.

    “Non saprei.”

    “Io... invece lo so..”


    Tirò fuori una tesserina, le labbra si arricciarono di nuovo.

    “Miss Jennifer?”

    Domandò con un piccolo sorriso sarcastico, lanciando il pezzo di plastica dietro alle proprie spalle.

    “Per piacere.. si vede che è falsa, dovresti cambiare spaccio di Idn.”

    Le labbra si unirono per l'ennesima volta, dettato dal nervoso.

    “Dove mi trovo?”

    Ero seria, dovevo veramente capire dove mi trovavo.. stavo iniziando ad aver timore per me stessa, anche se non l'avrei mai detto a nessuno, non l'avrei mai sputtanato così.

    “Oh.. no, no, non funziona così.”

    Accennò a un sorriso che mi faceva grattare le mani.

    “Allora? Il tuo nome..”


    Con un piccolo cenno con la mano.

    “Elizabeth..”

    “Ah-ahn..”

    Di nuovo un cenno per dire di continuare.

    “Almeno il tuo no?”

    “Ok.. ok..Io sono John, lui è Philip.”
    Indicando il ragazzo vestito da meccanico. “Sei sulla mia nave.”

    Con un piccolo sorriso beffardo di nuovo dalle proprie labbra, come per invitarmi a dire chi ero.

    “Elizabeth Lightwood, sono una Laoshi della Shouye.”
     
    Top
    .
0 replies since 27/4/2013, 16:13   27 views
  Share  
.